2011 Canarie

IMG_1972Saluti e bici dalla cima del Teide. − Le narici del Teide non respirano e non emettono fumi giallastri dal 1919, la data dell’ultima eruzione. Se ne stanno lì, a metà del cono di roccia, e si fanno fotografare, in una giornata tersa, da quanti arrivano quassù, a 2500 metri di quota, dopo aver spinto alla morte sui pedali per vedere che effetto fa scalare in bicicletta da corsa, non lo Stelvio e nemmeno il Sella, ma un vulcano piantato in mezzo al mare, anzi all’oceano.  Diamo le coordinate: isola di Tenerife, Arcipelago delle Canarie, balene e delfini al largo, per la gioia dei turisti che li vanno quasi a toccare da una barca, deserto di pietra in alto, per il godimento un po’ masochista di un gruppo di bikers che sono arrivati, in aereo e non a nuoto, da Varese.

La sommità della montagna, ai bordi della quale si apre uno spettacolare cratere, sta a 3718 metri. La strada si ferma, per fortuna, un chilometro più sotto in linea d’aria dopo una salita che di chilometri ne conta cinquantuno. L’ascensione non ha strappi, ma non da tregua. Si sale sempre vedendo il mare che si allontana laggiù. Emozioni di colore e continui cambi di paesaggio: prima bananeti e cespugli di fiori gialli ai bordi della via, poi prati neri, come se l’erba coperta da un velo di polvere di lava avesse subito una mutazione genetica, infine alte conifere che annunciano, l’inizio del nulla. L’aria è frizzante, la spianata accompagna l’occhio verso le pendici di una montagna che improvvisamente si impenna fino a cercare le nuvole (quando ci sono). I sassi sono un arcobaleno di tinte: dominano il giallo e il rosso interpuntati da striatura di verde. Siamo una sudata dozzina. Nibali e Contador sono decisamente un’altra cosa. Ma non buttiamoci giù: le gambe hanno tenuto, il fiato pure, senza morti né feriti siamo arrivati tutti fin quassù dove veniva ad allenarsi Pantani, ci racconta Pedro, il portiere di notte dell’albergo in cui siamo alloggiati davanti a Playa de Las Americas. Grande pirata, quanto ci manchi. Dicono che il campionissimo partiva di buon mattino, faceva una serie di ripetute e di scatti lungo le salite dritte come spade, accumulava ossigeno e imparava a volare. “Ciao Italiani”, ci saluta un collega tedesco alla fine del patibolo. Attacca discorso e vuole sapere di Berlusconi e del bunga-bunga. Anche qui.

Chi siamo? Pantere grigie per lo più, nessuno sotto i cinquanta: la bici fa miracoli. L’isola l’abbiamo vista da una sella, con i massacri urbanistici che le hanno cambiato la faccia facendola diventare (anche per i prezzi contenuti) meta di comitive di turisti, con gli orti botanici e le scogliere a piombo sul mare che le danno fascino lontano dai centri abitati infarciti di alberghi e di chioschi. Los Gigantes sono due massi erratici scivolati nell’oceano per chissà quale mistero della natura che da queste parti, nei secoli dei secoli, dev’essere stata non poco irrequieta. Li si vede bene navigando lungo la costa meridionale. E proprio lì davanti si fermano a prendere aria i balenottieri ben sapendo di finire nel mirino di centinaia di macchine fotografiche digitali manovrate da europei, americani e giapponesi. Il Teide spuntò dall’acqua seicentomila anni fa come conseguenza di un violento processo eruttivo. La lava coprì le terre erose e le convertì nella montagna di oggi che ha sempre un pennacchio bianco di neve posato come un cappello sulla vetta raggiungibile con una seggiovia. Tenerife è il volto turisticamente  industrializzato delle Canarie. Dalla cima del Teide si scorgono le altre isole. Ci ha rapito la solitudine di La Gomera: c’è una pensioncina alle spalle del porto, meta di naviganti, che fa pensare al viaggio di Cristoforo Colombo partito da qui verso l’ignoto. Non sapeva il grande genovese che avrebbe scoperto l’america. (Gianni Spartà)

Las Arenas-Garachiqo-Santiago del Teide-Las Arenas  km 80 disl m 2455

Las Arenas-Canadas del Teide-Las Arenas km 100 m 2500

Las Arenas-La Orotava-Las Arenas km 125 m 3300

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